«Il ricordo di Marco e della sua morte assurda e insensata mi provocano ancora un grande dolore». Luigi Montuschi, già ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Bologna, è stato maestro e padre spirituale di Marco Biagi

…il giuslavorista ucciso a Bologna dalle Nuove Brigate Rosse la sera del 19 marzo 2002.

Professore, che valore ha il Premio Marco Biagi – il Resto del Carlino per la Solidarietà Sociale a tredici anni dall’uccisione del giuslavorista?

«Questa iniziativa di grande importanza per il territorio e non solo ricorda a distanza di tanti anni uno studioso e un uomo che ha dato tanto al Paese. Un premio che richiama l’attenzione sui temi prediletti a Marco come la solidarietà, la vicinanza ai deboli, il diritto del lavoro e la necessità di proteggere le fasce più deboli della società».

Il pensiero di Biagi era in sintonia con i temi che oggi animano il dibattito sul mondo del lavoro?

«Marco si preoccupava di un problema che ancora oggi è irrisolto: i giovani precari e l’inserimento nel mondo del lavoro di chi il lavoro lo ha perso. Viviamo una fase molto critica sotto questo punto di vista. Una crisi che negli anni si è acutizzata. Il tasso di disoccupazione è cresciuto e le iniziative dei governi che si sono succeduti negli anni non hanno portato agli effetti sperati».

Biagi è stato un suo allievo, secondo lei cosa avrebbe pensato del Jobs Act del governo Renzi?

«È molto difficile da dire, ma quel che è certo è che Marco negli ultimi tempi della sua vita aveva preso una posizione molto precisa sulla necessità di superare e rivedere la materia dei licenziamenti e dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Le sue idee non possono dirsi divergenti rispetto alla tendenza a rivedere l’articolo 18. Marco sentiva la necessità di trovare soluzioni per promuovere l’occupazione e favorire un mercato più libero e meno legato a vincoli, questo rientrava a pieno nella sua progettualità».

Anche il dialogo con i sindacati era una questione cara a Biagi.

«Questo testimonia ulteriormente la grande attualità del suo pensiero. Nonostante siano passati più di dieci anni e le condizioni economiche e sociali siano cambiate il contributo delle idee di Marco è ancora forte. È stato ucciso per quelle idee, ma le idee non si uccidono. Chi lo ha ammazzato pensava di farlo, pensava che con lui morisse il suo pensiero, ma non è così. Le idee di Marco e il suo impegno sono sopravvisuti. Nulla si è disperso».

di Emanuela Astolfi