LA LEZIONE di Marco Biagi è sempre viva e ci ha accompagnato durante tutti questi anni che abbiamo vissuto con lui, ma senza di lui. Ogni anno, nelle celebrazioni del 19 marzo, giorno del suo assassinio per mano vile del terrorismo delle brigate rosse, ritroviamo il suo insegnamento grazie a due testimonial della sua vicenda di giurista al servizio dello Stato: Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, e Roberto Maroni, che ministro del Lavoro era al tempo della tragica morte. Un legame che quella morte ha reso indissolubile. Due ministri, allora e ora, dello schieramento di centrodestra, l’uno Pdl, l’altro leghista. Schieramento che non era la patria politica di Biagi, che negli anni aveva avuto modo di collaborare con ministri e governi di diverso e opposto segno, perché per lui veniva prima il servizio, poi l’appartenenza. Quello che si definisce civil servant, servitore dello Stato. E grazie a loro accade che anno dopo anno, nell’occasione del Premio che questo giornale, il Resto del Carlino, dedica da cinque anni a Marco Biagi, emerge con maggiore nitidezza l’evoluzione del pensiero.

SACCONI rilancia la formula di Biagi del «meno leggi, più contratto», che sta lì a significare un mercato del lavoro meno ingessato e soprattutto un ruolo più moderno, più dinamico, più protagonista delle parti sociali. Una formula ben presente in quel Libro bianco, che oggi ha dieci anni, uno in più degli anniversari di morte, che tante infamie scatenò contro Biagi. E mentre Sacconi ci ricorda appunto il modello della contrattazione, Maroni lega alla questione federalista le riforme del lavoro che Biagi era andato a disegnare. E quando lanciava quell’altro slogan — «modernizzare e innovare», applicabile a molti segmenti della vita politica, economica e sociale — ci veniva a dire che non ci sono «totem intoccabili». Perché se sono intoccabili verosimilmente quei totem sono intrisi di ideologia e dunque né moderni né innovatori. Per il leghista Maroni che naviga da sempre nel mare della riforma federalista, quei concetti di sussidarietà legati al mercato del lavoro nel loro territorio rappresentarono una folgorazione. Insomma, capì la globalizzazione, sostenne il valore del territorio.

NOVE ANNI senza Marco Biagi. Sembra già una eternità, ma l’attualità del suo pensiero, della sua utopia, lo fanno prezioso compagno di strada per le riforme ancora da venire. Come quello Statuto dei lavori, di tutti i lavori, riforma ineludibile dell’obsoleto Statuto del Lavoro. Pensiamo ora a progettare il decennale dell’uccisione di Marco Biagi che dovrà consentire ancora di più la rilettura del suo pensiero, ma anche l’ampliamento dell’area della condivisione come «martire di tutti». In tal senso merita di essere ricordato e rilanciato l’appello del Presidente Napolitano, due anni orsono, quando da Modena impegnò tutta la sua autorevolezza, anche di uomo dell’area progressista, per rimproverare a frange della sinistra e del sindacato quei distinguo che avevano aperto ferite così sanguinose e che hanno continuato (e continuano) a bloccare ogni forma di rinnovamento. Il decennale dell’uccisione di Marco Biagi può essere l’occasione per rileggere il giuslavorismo, colpito ogni volta che suoi esponenti hanno messo mano al mercato del lavoro. Una lunga scia di sangue: Ezio Tarantelli, Massimo D’Antona, Marco Biagi.

Pierluigi Visci